1979 - Jesus : Suore e Angeli


Nel 1989, la Eldorado aveva avviato per i propri gelati, sulle pagine dei rotocalchi, una campagna pubblicitaria affidata alla “mano” umoristica di Silver, l’autore di Lupo Alberto. Dovendo poi, per continuarla l’anno successivo, cambiare il disegnatore, ne furono contattati alcuni e le loro proposte, testate direttamente sui punti vendita, furono sottoposte su mamme e bambini, cioè sugli acquirenti diretti: fu scelto proprio Cavazzano. Quindi è stata “scientificamente dimostrata la gradevolezza del suo modo dì disegnare per la pubblicità. Beninteso, non era necessario attendere l’ Eldorado per una affermazione del genere, visto che è dai remoti anni Sessanta che i lettori lo dimostrano in continuazione. Ma certo la pubblicità, con le sue concretezze operative, lo ha sancito in maniera incontrovertibile benché, quella non fosse “la prima volta” pubblicitaria. Era anzi, allora, l’ultima fra quelle a cui gli era stato chiesto di partecipare, e quella rivelatasi in seguito, per lui, la più prolungata e consistente. La prima campagna pubblicitaria di rilievo alla quale egli ha collaborato risale al 1979 ed era una specie di campagna istituzionale, per lo meno nel senso che venne pubblicata su uno cli quei periodici che si chiamano “house organ”, vale a dire quelle pubblicazioni che le imprese di qualunque tipo usano per reclamizzare, in certo senso, se stesse, o meglio per offrire di sé una determinata immagine sia al pubblico sia, spesso, ai loro medesimi collaboratori dì ogni livello gerarchico. In quella occasione, fu dunque la Fiat a contattare Giorgio La missione che ci siamo posti con ADVintage è anche quello di conservare la memoria dell’advertising italiano e rendere noto a chi ci legge che molte sedicenti innovazioni comunicative odierne altro non sono che reinterpretazioni di attività già svolte in passato.

Come si dice? “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.

Alcune agenzie di comunicazione, nel tentativo di far acquisire maggiore visibilità a una campagna, inseriscono forzatamente delle provocazioni. Uno dei dictat della comunicazione è infatti il “purché se ne parli”.
Ma rivedendo alcuni esempi “d’epoca” spesso ci si accorge come alcune delle campagne più recenti non siano altro che emulazioni di campagne già provocatorie del passato: provocazione nata da un’originale audacia creativa e senza uno scandalo “forzato” al seguito.
A ben vedere oggi giorno non si “cita” più una campagna pubblicitaria ma la provocazione stessa che ha suscitato.

Poi quando la promotion gioca con un soggetto clericale, spesso si va a colpo sicuro sullo scalpore che ancora suscita l’argomento religioso sulla tendenza italica benpensante e moralistica. Scherza con i fanti e lascia stare i Santi.

Prendiamo come esempio un soggetto clericale stereotipato in comunicazione: la suora.

A marzo di quest’anno ha avuto una forte risonanza mediatica la campagna di comunicazione di un azienda di jeans partenopea, la quale promuoveva il suo prodotto facendolo indossare da una suora sexy.
La gigantesca affissione, a pochi giorni dalla visita di Papa Francesco, fu fatta oscurare.

 

Di poco precedente è il clamore scandalistico creato dalla campagna di un brand di gelati italiani in terra anglosassone.
Protagonista sempre la nostra suora questa volta incinta.

 

 

Fece scalpore, nel 1991, la campagna pubblicitaria ideata da Oliviero Toscani per la famosa azienda tessile italiana, con il bacio tra un prete e una suora.

E potrei stare a parlare di molte pubblicità con lo stesso soggetto che ci porterebbero a ritroso fino al 1972, l’anno di nascita dell’antesignano di tutto ciò.

 

Scopriamo infatti che il primo esempio di pubblicità con suora è di gran lunga superiore a tutti gli epigoni. E prendendo come frase di riferimento “né santa, né puttana, ma solamente donna” questa campagna mette il soggetto nel suo ruolo di donna, e non in una versione amorale come nelle successive campagne.

La Pierrel, un industria farmaceutica di analgesici, nel 1972 lanciò una delle campagne più discusse dell’epoca, vincitrice del prestigioso premio Torchio d’Oro Rizzoli, grazie all’agenzia Cpv e alla creatività del copy Luigi Montani Anelli.

Per una casa farmaceutica, la Pierrel, elaborò un progetto totalmente alternativo rispetto alle istruzioni del cliente, ma cento volte più giusto ed efficace. Da una ricerca era emerso che la Pierrel era antipatica ai farmacisti. «Invece di buttare soldi per un analgesico, facciamo una campagna che li renda simpatici ai farmacisti.» «E come?» «Facendo diventare i farmacisti simpatici alla gente. Diciamo che i farmacisti non sono solo impacchettatori di medicine, ma anche la nostra salvezza quando il medico non è a portata di mano.» Era un insight potentissimo, e molti farmacisti italiani furono così contenti di vedersi rappresentati in quel modo che misero gli annunci sotto vetro, li incorniciarono e li appesero alle pareti come quadri.


(Pasquale Barbella, ADCI)

Dobbiamo dare atto del coraggio avuto dal marketing della Pierrel che ha rinunciato alla campagna di prodotto per dare spazio a una di sensibilizzazione verso la categoria “profarmacia/farmacisti” patrocinata dalla loro azienda. Il prodotto viene sempre promosso (il purché se ne parli) ma creando anche un legame con venditori e distributori: i farmacisti appunto.
Questa idea è spiegata meglio da Paolo Montoa sul mensile “Strategia” del giugno 1973:

Per “conto terzi” uguale a pubblicità
Ora però domandiamoci: di che cosa si è trattato? Di una operazione di “promotion” sul punto di vendita? Di una operazione di PR? Di una campagna istituzionale cioè di “publicity”? La risposta ci sembra implicita. Questa campagna è insieme tutte e tre le cose. Qual era il problema che la CPV doveva affrontare per conto del cliente?
Un problema semplice e terribile: quello della necessità di una “mano di vernice nuova” sull’immagine” magari un po’ confusa della Pierrel. Un problema quello dell’immagine aziendale” abbastanza ricorrente in ogni settore produttivo ma più pesante che mai in quello farmaceutico…
Ecco allora questa campagna di pubblicità fatta non ai prodotti della Pierrel ma fatta dalla Pierrel (cioè dalla CPV) ai farmacisti stessi; una campagna istituzionale che diventa una campagna di PR per conto terzi.
Questa semplice diabolica strategia (anche se utilizza candide suore) si è rivelata una delle più felici campagne di “publicity” viste in questi ultimi tempi. Merito certo della CPV e del diabolico Luigi Montaini Anelli ma merito anche della Pierrel che ha dimostrato fiducia in questa strada – almeno in Italia – nuova.

Di questa campagna hanno parlato le riviste, i pubblicitari, e – quel che conta di più – hanno parlato i farmacisti.

Di seguito un altro articolo di Raffaello Baldini da “Panorama” del 1 marzo 1973.

Tutto è cominciato nel gennaio 1972, quando Carlo Bascapè, consulente della Pierrel, propose ai tecnici dell’agenzia CPV italiana un problema preciso: il lancio di un analgesico nuovo, un calmante del dolore e insieme, dell’ansia procurata dal dolore.
Ma Bascapè non parlò solo dell’analgesico. “C’è anche il problema dei farmacisti. Abbiamo fatto un indagine.. ‘Da questa indagine, di qualche mese fa, viene fuori che è un problema grosso. Teniamolo d’occhio”.
Per preparare la campagna, la CPV volle conoscere la situazione degli analgesici in Italia e spedì intervistatori a parlare coi farmacisti. Qualche settimana dopo Luigi Montainì, direttore creativo della CPV, si trovò sul tavolo un fascicolo sulla situazione degli analgesici in Italia e uno sulla situazione dei farmacisti. Quest’ultimo un autoritratto inquietante: “Ma cosa venite a chiedere a me? lo non sono nessuno… Io ho studiato per niente… La gente ci considera dei droghieri. Sì, per loro sappiamo solo fare i pacchetti…
La gente pensa che noi guadagnamo sulle disgrazie altrui… Informazione scientifica per me? Nessuno me la chiede. Leggo la ricetta, trovo il flacone, quant’è? trecento lire, grazie, buongiorno, tutto qui… Siamo commessi specializzati… Siamo impiegati a una catena di distribuzione…”.
Dopo aver letto tutto questo, alla CPV si decise di studiare due campagne: una per il lancio dell’analgesico, una per il rilancio della figura professionale del farmacista, del suo ruolo sociale,..
Le due campagne sono state presentate alla Pierrel nell’aprile ’72. “Quella per i farmacisti”, ricorda Bascapè, “mi coinvolse subito emotivamente. Mi piacque senza condizioni”. Alla Pierrel ci furono perplessità. Che durarono fino a luglio quando la campagna farmacisti fu accettata (oltre tutto, le ricerche di mercato avevano rivelato che la formula del nuovo analgesico era un po’ troppo in anticipo per gli italiani).
Per i creativi della CPV è una buona campagna, ma con un piccolissimo neo. Non è stato approvato e non apparirà mai sui giornali, un annuncio che loro giudicano felicissimo, L’immagine è quella di una suora in bianco con un libretto in mano…
Dice sorridendo Toni Granich, un dirigente della CPV: “Una suora nella cui vita c’è un uomo, sia pure un farmacista, in Italia probabilmente è ancora troppo forte”.










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