1977 - Mini Innocenti

C’era un’epoca in cui la benzina costava poco più di un caffè e le auto, almeno a sentirle raccontare dalla pubblicità, sembravano pronte a risolvere ogni problema quotidiano: dal traffico cittadino al cane da portare in vacanza. È il caso della Innocenti Mini, che a metà degli anni Settanta invadeva le pagine dei giornali con uno slogan semplice e rassicurante: “Quando si è Mini basta poco”.
La scena è chiara: un benzinaio in candida tuta bianca riempie il serbatoio, mentre al volante una donna sorridente sembra dirci che sì, con questa macchina non serve altro. Basta poco spazio, basta poca benzina, basta poco denaro. Una promessa perfetta per un Paese che aveva appena fatto i conti con la crisi petrolifera del ’73 e iniziava a guardare all’economia dei consumi come a un valore, non a un sacrificio.
Il testo dell’annuncio, illustrato con tratti morbidi e colori acquerello, è quasi una dichiarazione d’amore: la Mini non si formalizza, ospita cinque persone senza battere ciglio, tollera bagagli, valigie e perfino il cane. Consuma pochissimo – appena un litro ogni sedici chilometri, presentato come un atto di “avarizia spaventosa” – e per parcheggiarla, scriveva il copywriter, “basta un buco”.
La Innocenti, allora controllata da British Leyland, voleva così convincere gli italiani che la nuova gamma (Mini 90, Mini 120 e la sportiva De Tomaso) non era solo l’evoluzione della leggendaria utilitaria inglese, ma un’auto italiana nei consumi, nei bisogni e nello stile. Non a caso il claim finale prometteva assistenza “dal Monte Bianco al Mar Jonio”, una carezza patriottica che la vecchia Mini d’Oltremanica non avrebbe potuto concedere.
Riguardata oggi, questa pubblicità sembra quasi ingenua nella sua fiducia. Ma racconta bene lo spirito di quegli anni: l’auto non era soltanto un mezzo di trasporto, era un simbolo di libertà, leggerezza e modernità. E la Mini Innocenti, con il suo design squadrato firmato Bertone, cercava di portare tutto questo in formato ridotto.
“Quando si è Mini basta poco”: uno slogan che, col senno di poi, suona come un piccolo manifesto degli anni ’70, quando il futuro pareva stare in una city car compatta e colorata, pronta a fare spazio a tutto. Anche al cane.



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