Negli anni '70, Suzuki lasciò un segno indelebile nel mondo delle moto per due ragioni principali: il lancio della leggendaria GT 750 e una campagna pubblicitaria audace che ancora oggi fa discutere. La Suzuki GT 750, presentata nel 1971, rappresentò l’ingresso del marchio giapponese nel segmento delle grandi moto. Dotata di un innovativo motore a tre cilindri in linea da 738 cc, fu la prima moto di serie a presentare il raffreddamento a liquido, una tecnologia che garantiva prestazioni più affidabili e durature rispetto ai motori ad aria. Soprannominata "Water Buffalo" in alcuni mercati, questa moto divenne un simbolo di potenza e modernità.
Ma non fu solo la meccanica a far parlare di Suzuki in quegli anni. Le sue campagne pubblicitarie destarono un clamore senza precedenti, soprattutto per il modo provocatorio con cui venivano comunicati i valori del brand. In un periodo in cui il concetto di politically correct nella pubblicità era pressoché inesistente, Suzuki lanciò una campagna che metteva a confronto una donna e una moto. Il quesito implicito era: chi dei due è più affidabile?
Le immagini utilizzate erano accompagnate da testi che oggi apparirebbero discutibili, ma che all’epoca rientravano nello stile dissacrante e provocatorio tipico degli anni '70. La donna, identificata con nomi come Milena, Zelda o Cristina, veniva descritta con frasi evocative e ambigue: “Ritorno dalla caccia. Corpo che si offre nel gioco dell’abbandono. E certezza che lei è sempre lì. Sempre. Il perdono dopo l’avventura” oppure “Donna su cui appuntare emozioni e amore”. Al contrario, la moto veniva descritta con un tono più tecnico ed efficace: “Freno anteriore a disco con comando idraulico. Freno posteriore meccanico a doppia ganascia. Sospensioni e telaio a perfetta tenuta di strada”.
Il confronto implicito era chiaro: la moto è sempre affidabile, la donna forse no. Questo messaggio suscitò scalpore e portò alla prima condanna da parte del Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria, che considerò la campagna offensiva nei confronti delle donne. Nonostante le polemiche, il claim divenne celebre e contribuì a rafforzare l’immagine del marchio, lasciando un’impronta nella storia della pubblicità italiana.
Franco Turcati, il fotografo che realizzò le immagini della campagna, ricorda bene quell’esperienza. “La creazione è stata fatta dall’agenzia OFF, con Angelo Agosti come art director e Wilma Cino come copywriter. Questa campagna fu la prima a essere condannata dal Giurì. Wilma prese ispirazione da una canzone di Bruno Lauzi che parlava proprio di donne e motori”, racconta Turcati. Nonostante le critiche, le foto di Turcati erano apprezzate per il loro velato erotismo e la raffinata ironia. Gli scatti catturavano lo spirito degli anni '70: un mix di provocazione, libertà e voglia di infrangere le regole.
Oggi una campagna del genere sarebbe impensabile. Le aziende sono sempre più attente alla comunicazione inclusiva e rispettosa delle diversità. Tuttavia, la pubblicità Suzuki degli anni '70 riflette un’epoca in cui il marketing osava molto di più, giocando su stereotipi e provocazioni che oggi sarebbero considerati inaccettabili. Come diceva Marlon Brando nel film Bulli e pupe: “Una pupa è una pupa: ognuna è tutte”. Ma le moto, come la Suzuki GT 750, no. Quelle rimangono uniche. E anche questa campagna, per quanto discutibile, è entrata nella storia della comunicazione pubblicitaria italiana.
campagna Suzuki : Io Suzuki. E tu? che era stata un grande successo..
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