L’anno era il 1969, non c’erano tablet né laptop, ma per i giovani era viva l’esigenza di avere sempre dietro le proprie passioni.
Per la musica c’era il vecchio Penny, il mitico mangiadischi portatile rosso fuoco; per chi aveva l’hobby della scrittura, e voleva cogliere in spiaggia l’ispirazione per una poesia, c’era lei: La Valentine.
Fu progettata da Ettore Sottsass per la Olivetti in pieno “Autunno caldo”, in contrapposizione all’austerità chic della famosa “lettera 22”.
Ideata come una “macchina anti-macchina” per l’uso in qualsiasi luogo, con un hard-case e una maniglia per il facile trasporto, era considerata trasgressiva non soltanto perché rompeva con la tradizione aziendale, ma anche per lo stile di vita nuovo che si respirava in quegli anni.
La macchina da scrivere portatile della Olivetti nella sua semplicità riusciva a essere innovativa.
Nella realizzazione
Era in plastica ABS, invece del consueto alluminio, di colore rosso Valentine, adottato sia per il corpo macchina, sia per la custodia.
Nel design
La tastiera spiccava dal resto della macchina grazie all’accostamento dei colori rosso e nero, “in modo da fare dello strumento di scrittura un ‘oggetto’ atto a farsi notare, ad essere utilizzato anche da un pubblico meno professionalmente motivato alla scrittura meccanica” (“Notizie Olivetti” giugno 1969).
Nella Comunicazione pubblicitaria
La campagna dedicata al lancio della macchina era caratterizzata da toni scherzosi nei testi e nella grafica dei bozzetti, in linea con il design e il colore stesso della Valentine. Grafici noti come Milton Glaser, Yoshitaro Isaka, George Leavitt e Roberto Pieraccini riuscirono a creare un’immagine nuova e accattivante che prevalse persino sull’immagine globale della Olivetti.
Famosa la pubblicità di Glaser che reinterpreta un particolare della “Morte di Procri” del pittore rinascimentale Piero di Cosimo.
Da un bell’articolo di www.StoriaOlivetti.it
“La campagna pubblicitaria per il lancio della Valentine viene ideata tenendo conto che la macchina vuole essere un prodotto di largo consumo, un prodotto che tutti possono usare dovunque. Ecco il perché dei grandi manifesti nelle vie della città, nelle metropolitane, nelle stazioni ferroviarie; degli avvisi sulle riviste popolari; dei brevi film destinati al cinema.
Ed ecco perché Sottsass, a cui è affidato anche il coordinamento di tutte le componenti delle campagne pubblicitarie, dice: “Siamo andati a mettere la Valentine dappertutto, in più posti possibili, per vedere come si comportava e cosa succedeva intorno e abbiamo fatto un sacco di fotografie. Così dopo un po’ siamo venuti in possesso di una grossa documentazione, una specie di reportage del viaggio fatto fra la gente da un oggetto invece che da una persona. E non è neanche andata tanto male, perché tutti erano contenti di giocare con questa Valentine, di starle insieme, e del resto anche lei, questo oggetto rosso, finiva per confondersi abbastanza bene con le cose che già ci sono nel mondo, le cose naturali e le cose artificiali che fanno questa gran confusione nella quale viviamo.”
Il successo della Valentine è basato sulla sua semplicità. Già nel 1971 entra a far parte delle collezioni del MOMA di New York e negli anni ’90 se ne è ripresa la produzione negli stabilimenti messicani dell’Olivetti, per soddisfare la domanda di quanti vedono nella Valentine un oggetto cult.
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