C’era un tempo in cui bastava un grido per sentirsi invincibili. «Ehi! Pilota Bi.MX: salta, vola, vinci i tuoi 400 metri!» — così tuonava, a caratteri cubitali e azzurro metallizzato, una delle pubblicità più iconiche del 1984. La firmava la Bianchi, la più antica fabbrica di biciclette italiana, nata nel lontano 1885 ma capace, quasi un secolo dopo, di reinventarsi per parlare ai ragazzi cresciuti con Drive In, i videogiochi e la musica dei Duran Duran.
Era il tempo della BMX, la “bici da cross” che arrivava dagli Stati Uniti carica di libertà, adrenalina e polvere da pista. E la Bianchi volle essere della partita. Nel pieno del boom, tra il 1982 e il 1985, la casa milanese lanciò la linea Bi.MX, un nome semplice ma sonoro, che univa in sé bicycle e motocross. La pubblicità del 1984, oggi considerata una piccola opera d’arte illustrata, racchiude perfettamente lo spirito di quel decennio: energia, eroismo, movimento e identità personale.
In primo piano, un giovane corridore disegnato a pennello, casco MPA, tuta Peperoncino e mani guantate. Sullo sfondo, una folla in festa, mentre la ruota anteriore resta sospesa nell’aria, a fissare l’attimo esatto del salto. È una sospensione dinamica, quasi cinematografica, figlia di un’epoca in cui il colore si costruiva a colpi di acquerello e non di pixel.
Il testo dell’annuncio è un piccolo capolavoro di retorica motivazionale: “Tu e la tua Bi.MX siete una sola cosa. Lei, la ‘macchina’, disposta ad ogni impresa; tu, il pilota, pronto a volare.” È l’equivalente sportivo dei sogni di libertà motorizzata che la pubblicità italiana aveva già raccontato con Vespa, Zündapp o Aermacchi. Solo che ora il motore è dentro di te. “La grinta del cross con la forza dei tuoi muscoli” recitava lo slogan finale, trasformando un prodotto sportivo in una dichiarazione d’intenti. L’eroe degli anni ’80 non guida un bolide: pedala con volontà e coraggio.
La grafica, a metà strada tra fumetto e televisione, sembra uscita da una tavola di Skorpio o Intrepido: colori accesi, linee nervose, espressioni esaltate. In basso, il logo di Retequattro ricorda come la BMX fosse ormai entrata anche nel mondo della TV, tra sigle elettroniche e spot da trenta secondi. Era il trionfo del linguaggio crossmediale, quando la bicicletta non era più solo un oggetto, ma un’esperienza da condividere tra amici, schermo e strada.
Per la Bianchi, regina delle corse su strada e dei pedali da gran premio, la linea Bi.MX rappresentò una svolta d’immagine. Prodotte in diverse versioni — Super Kid, Junior, Senior — le nuove biciclette erano pensate per tutti i livelli di esperienza, dal principiante al piccolo campione. Telai in acciaio leggero, ruote da venti pollici, sella ribassata, freni potenziati e colori vivaci: ogni dettaglio parlava di un nuovo modo di intendere la bicicletta, più ludico, personale e americano. Era il segno di un’Italia che cambiava, meno legata al mito del ciclismo eroico di Coppi e Bartali e più attenta alla cultura pop, alle gare nei campi sterrati e alle mode da skate park.
Negli anni Ottanta la pubblicità non si limitava a vendere: iniziava. Chi comprava una BMX non acquistava una bicicletta, ma un ruolo, un’appartenenza, un’idea di sé. “Vinci i tuoi 400 metri” non parlava solo di una corsa, ma di un percorso di crescita, della voglia di superare limiti e paure. Ogni salto, ogni curva parabolica diventava un piccolo atto di coraggio quotidiano. E la Bianchi, con il suo linguaggio esaltante ma pulito, seppe rendere quell’esperienza eroica e allo stesso tempo accessibile.
Oggi quella pagina pubblicitaria, con il suo grido entusiasta e i suoi colori vivi, ci restituisce un’epoca ingenua ma piena di speranza. Una stagione in cui la pubblicità parlava la lingua del sogno, e in cui bastava una bici per sentirsi piloti. La Bianchi Bi.MX resta così un simbolo perfetto degli anni ’80 italiani: sportiva, veloce, colorata e libera. E ancora oggi, sfogliando quella pagina ingiallita, sembra quasi di sentire la voce dell’annunciatore gridare tra i colli di carta patinata:
«Ehi! Pilota Bi.MX… salta, vola, vinci i tuoi 400 metri!»
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